mercoledì 3 novembre 2010

Intervista ad Alberto B. Testasecca - "Volevo essere Moccia"

Il Re Mida della letteratura italiana per i più giovani (e per larga parte dei meno giovani) ha un nome che riecheggia oggi in tutta la sua brevità altisonante: Moccia. A detestarlo, non senza invidiarne a pugni stretti l’inarrivabile successo di vendite, è Luciano Košak, autore un po’ pretenzioso e di scarsissima fama. A scoprirlo per la prima volta, invece, con sguardo perplesso ma non meno sognante ed ispirato, è Marilù, trentottenne ex tossica risvegliatasi da un coma durato dodici anni. E ad essere sfiorati dal Moccia-pensiero sono anche i rispettivi compagni dei due: Roberto, imbranato smanettone col pallino dei fantasy games, che del Federico nazionale si sciroppa gli aforismi mentre tenta di darsi da fare con le donne, e Laura, brillante manager carrierista nonché moglie disillusa, che nell’adulterio appassionato alla “Scusa ma ti chiamo amore” cerca la propria occasione di riscatto.

L’autore, Alberto Bracci Testasecca, scrittore e traduttore di letteratura contemporanea (Anna Politkovskaja, John Pilge, Eric-Emmanuel Schmitt) inquadra parodistico, con cinico minimalismo ripulito di orpelli narrativi, il trend dell’odierna produzione romanzesca, fra le cui righe sospirose e stereotipate si delinea il temperamento (molle, mocciano) delle nuove generazioni di giovani lettori.
E lo fa facendoci sghignazzare sulle piccinerie del più adolescenziale lessico con le “K”, o indispettire all’idea che per amarsi credibilmente ci si debba parlare come fra carte di cioccolatini.

Un Testasecca che batte là dove il Moccia è caldo, dunque, con una storia toccante e stanante, disseminata di immagini che fanno sorridere sotto i baffi (sin dalla copertina).
Stradanove lo ha intervistato per voi >>> LEGGI QUI.
Luca Fiorini

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