giovedì 18 marzo 2010

Freeman e Damon capitani d'anime in "Invictus"

La pacatezza contagiosa, il piglio meditativo, l’ostinazione composta, l’umanità indiscriminata, la benevolenza, il dovere, la concretezza. Morgan Freeman ci racconta in questi termini il Nelson Mandela di “Invictus”, mirabilissima figura cardine nel biographical drama diretto dall’ex cowboy di Sergio Leone che ricostruisce, con riconfermata abilità eastwoodiana, un insolito e incisivo capitolo di storia del Sud Africa, pretestuoso al superamento dell’apartheid: la Coppa del Mondo di Rugby del 1995.

Liberato nel ’94 a seguito di una carcerazione durata ben 27 anni e riscattata con il riconoscimento del premio Nobel per la pace, a seguito della vittoria alle elezioni presidenziali Madiba sogna la riunificazione del suo popolo per la creazione della “nazione arcobaleno” in nome della fine delle politiche separatiste di segregazione razziale.


Intravedendo nel collettivo sentimento di partecipazione sportiva la prima e più conveniente occasione di conciliazione interna fra etnie, Mandela non inizia la ricostruzione unitaria del Paese dalle poltrone governative di una tribuna politica bensì dagli spalti dell’ Ellis Park Stadium di Johannesburg, in quella seguitissima finale di rugby del 24 giugno ’95 in cui la squadra sudafricana degli Springbok, bandita dal campionato sin dagli anni ‘80 per motivi di discriminazione razziale, trionfa sui temuti avversari All Blacks, mettendo a segno il primo punto per la riedificazione dell’intera nazione.



In un continuo avvicendarsi di attimi di individualità e momenti corali, soprusi sventati e fratellanze compiute, Freeman restituisce a Mandela il temperamento, l’espressività e la mitezza della sua leadership, non meno di quanto faccia Matt Damon come attore non protagonista nei panni di quel Francois Pienaar al comando della squadra sudafricana, cui Madiba insegnerà ad essere “padrone del proprio destino e capitano della propria anima”. VOTO: 10




Nessun commento: